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Promozione della salute e riduzione del rischio HIV nella popolazione gay, lesbica e bisessuale
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Intervista a Paolo Ferigo, presidente del CIG (Centro iniziativa gay) Arcigay Milano e responsabile salute di Arcigay nazionale

Fare prevenzione e riduzione del rischio HIV/AIDS con i maschi omosessuali. Come migliorare?
Non è facile, continuo anch’io a domandarmelo, anche se è da una decina di anni che mi muovo in questo campo.
Prima ancora di parlare di AIDS, credo sia necessaria una crescita della stima personale e dell’amor proprio; ‘volersi bene’: questa è, secondo me, la leva motivazionale su cui puntare. Se io mi stimo, allora mi proteggo; se non mi stimo, anche inconsciamente, se non mi reputo valido o funzionale alla società, vivo la mia vita in qualsiasi maniera – “Finché c’è c’è, quando non c’è più chi se ne frega ‘tanto non si accorge nessuno del mio passaggio”.
Molte delle persone che non si curano quando hanno già avuto contatto con il virus, lo fanno perché non hanno stima di se stessi. Lo stesso vale per buona parte di quelli che fanno sesso senza protezione, salvo poi, in alcuni casi, accorgersi: “Ho fatto la cazzata!”. Dopo due settimane, se va bene, è come se nulla fosse successo; se va male, c’è un momento di paura, cui fa seguito uno scoramento ancora maggiore… le terapie che non vengono seguite.
Non è un bel discorso, ma se pensiamo a quali sono le categorie più colpite dall’AIDS, troviamo i gruppi più emarginati dalla società (omosessuali, tossicodipendenti, prostitute, extracomunitari). È come se queste persone, inconsciamente, si sentissero già inferiori rispetto agli altri; di conseguenza, davvero finiscono per sentire l’infezione come la giustizia divina. Questo discorso non è valido per tutti, ovviamente, ma a grandi cifre. I giovani e le persone più emancipate sono infatti le persone più attente, non fanno niente senza preservativo, puoi notare la differenza. Le persone con alta autostima sanno relazionarsi meglio con gli altri, non c’è il timore, ad esempio, su chi deve tirare fuori per primo il preservativo – una storia, questa, piena di assunzioni, rigorosamente senza parole: “Se non lo tira fuori lui vuole dire che allora è sieronegativo”.
Alcune recenti campagne puntano su questi aspetti, prima ancora di parlare di prevenzione. Noi distribuiamo volantini con questo slogan: “Io mi amo?”. Da lì poi parte il discorso del fare sesso sicuro per se stessi, non perché te lo impongono altri, ma per vivere meglio, anche aldilà dell’atto sessuale in sé; ci teniamo a fare un ‘discorso di vita’, di un modo di vita. “Io mi amo” non significa escludere dall’amore gli altri. Per lo stesso motivo, se ci pensi, controlli la strada prima di attraversarla, perché non vuoi farti male, oppure metti un maglione perché fuori fa freddo – cose che fai semplicemente per non star male in seguito, per proteggere te stesso.

Come interpreti l’abbassamento della guardia che qualcuno nota rispetto ai comportamenti sessuali di salute?
L’abbassamento della guardia, che è attualmente in aumento, non è legato al discorso dell’autostima, che è invece una costante. Storicamente c’è stato un momento di grande paura, un’emozione che ha portato ad una maggior attenzione di tutti, anche dei media. Poi sono venute fuori le terapie ed il messaggio che è passato è: “L’AIDS è guaribile”. Molti di coloro che non sono direttamente coinvolti la pensano così. C’è dunque stato un crollo. Il Ministero non se ne accorge, o non vuole accorgersene; non si rispettano i tempi delle campagne di prevenzione previste. Anche le altre malattie a trasmissione sessuale sono in aumento. A differenza dell’AIDS, queste sono però più visibili, al punto che vai dal medico, fai l’iniezione, prendi due pastiglie e non pensi nemmeno di fare il test per l’HIV.
Vedremo però fra un paio d’anni cosa succede. Adesso c’è un calo dei casi di AIDS, per il solo fatto che la conclamazione della malattia è legata alla mortalità. In realtà non sappiamo quante sono le sieroconversioni. Nei prossimi anni ci sarà di sicuro una risalita.

Ci sono dunque due elementi: il primo, di background per così dire, che è connesso con l’autostima, ed il secondo – l’abbassamento della guardia – che si registra in questi anni e che è connesso con l’equivoco delle nuove terapie…
Il primo elemento, quello dell’autostima, è fondamentalmente costante, non sta migliorando in maniera significativa, in generale, nonostante già alcuni anni di movimento omosessuale in Italia. Per molti l’autostima è più un’illusione che una convinzione: io mi sento libero perché vedo la gente libera, ma in realtà non sono libero, non mi sento veramente così.

Cosa dobbiamo fare, dunque?
Impegnarci molto di più, innanzitutto per quanto riguarda l’acquisizione di diritti e la crescita culturale della popolazione omosessuale: questo deve essere un impegno costante, che continua indipendentemente dalle contingenze. E poi ripartire con le campagne di prevenzione, di sensibilizzazione, di informazione in particolare.
Il problema è che adesso ci scontriamo contro la ‘noia’, di sentirsi ripetere le cose – “Non ne posso più, basta, mi avete rotto”. Questo è un problema generalizzato: tutte le associazioni che fanno prevenzione non sanno più che strada prendere. Si è tentata la strada, con le prime campagne, di spaventare la gente; poi si è cercato di coinvolgerla informandola in maniera morbida; poi di rendere il preservativo come fosse lo shampoo – un dispositivo quotidiano dunque, ‘una cosa comune’. Tutte queste campagne hanno sortito in quel momento un risultato, che però non è del tutto ripetibile: lo stesso intervento, fatto adesso, ‘si consuma’. Abbiamo ‘consumato tante cartucce’ nella speranza che, nel frattempo, si arrivasse alla soluzione, cioè la cura. La soluzione non è arrivata, c’è stata la piccola soluzione della cronicizzazione – che però, sotto certi aspetti, ha peggiorato le cose piuttosto che migliorarle, perché si corre il rischio di diventare tutti portatori. Non possiamo però tutti andare avanti a pastiglie!
E allora cosa facciamo, dobbiamo ricominciare da capo con la paura? Devi allora far capire cosa sono le terapie, cosa comportano, i problemi che danno. Però con la paura c’è poi la reazione alla paura, e quindi la negazione; la paura, inoltre, potrebbe interferire negativamente sull’autostima. Una immagine di terrore ti può colpire un attimo, ma poi la cancelli – ti dici che tocca gli altri… Certo, con qualcuno può funzionare (quelli che scelgono la castità assoluta, ad esempio), ma credo sia un’altra la strada da percorrere.
In definitiva, è davvero difficile trovare una risposta. Si continua così a viaggiare su quel poco che si ha, un po’ a tentoni. Nessuno trova la soluzione assoluta, neanche i tecnici. Non si fa altro che continuare con le solite campagne. Non vedo cose realmente nuove in giro, purtroppo, negli ultimi tempi, nemmeno fuori dall’Italia. C’è il rischio, per questi motivi, di lasciare di fatto un po’ da parte la prevenzione, visto che è un continuo dibattersi entro le stesse mura, senza soluzioni, con gli stessi messaggi e gli stessi strumenti. I gay, dopo tutto, sono gli stessi di qualche anno fa, il target non è cambiato, e quindi le stesse campagne possono essere riutilizzate.
Non esistono, del resto, campagne che non funzionano in assoluto: tutto, seppur in piccola parte, può avere degli effetti positivi. Rimangono però campagne con un maggior numero di controindicazioni, come quella che punta a spaventare.
L’unica strada che continua a funzionare bene è il rapporto diretto: l’operatore che si mette in contatto, la fiducia, il rapporto umano. Gli interventi di counseling, l’Unità di strada, funzionano perché modifichi lo strumento a seconda di chi hai davanti.

Sei d’accordo con il passaggio dal safe sex al safer sex?
Io sono sempre stato per il safer sex, perché bisogna dare e spiegare le scale di rischio, bisogna permettere alla gente di scegliere, con libero arbitrio. La proposta della castità, invece, può essere forse vincente solo in certi contesti ristretti.

E nei confronti delle persone sieropositive?
Nelle campagne generaliste che abbiamo curato noi le persone sieropositive sono sempre state considerate, a dire la verità più per non offenderle piuttosto che per farle crescere. Raramente sono stati trattati i temi della re-infezione e della sensibilizzazione rivolta al sieropositivo a non trasmettere il virus ad altri, e quindi ad agire responsabilmente. Queste tematiche sono lasciate più che altro alle singole associazioni di categoria, che più facilmente hanno rapporti con le persone sieropositive (gruppi di auto-aiuto). Bisogna dunque trovare una sintesi tra comunicazione ‘di massa’ e comunicazione ‘di categoria’, frammentata, con linguaggi appropriati per ogni sotto-gruppo, anche per far capire che nessuno è escluso. Non è facile, perché sono tanti gli equilibri in campo.

Si è mai fatto qualcosa nei confronti delle persone immigrate?
Ci sono associazioni specializzate in questo campo. Arcigay non ha invece ancora fatto nulla al riguardo. Dobbiamo cominciare ad occuparcene. Molto spesso gli omosessuali che arrivano da paesi terzi hanno un livello di informazione molto basso. E poi c’è la questione della prostituzione maschile, che è composta per la stragrande maggioranza da extracomunitari. Devo però dire che il livello di informazione presso i prostituti, almeno quelli con più esperienza (contrariamente ai nuovi arrivati), è generalmente elevata, si proteggono.
                          

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